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Essere per forza belli provoca un’insoddisfazione perenne. I metodi della pubblicità di Sara Hassen

by Redazione 10 Aprile 2014 589 4 min di lettura
 Essere per forza belli provoca un’insoddisfazione perenne. I metodi della pubblicità di Sara Hassen

La dipendenza dallo specchio sta divenendo ormai per molti giovani una sofferenza con cui fare i conti giornalmente. La bellezza è un imperativo ovunque, non solo a casa nostra. La lotta quotidiana tra l’essere e l’apparire è snervante. Ci si sente a disagio nel proprio corpo che viene percepito sempre più come esterno a noi stessi. Prende inizio così l’ossessione del giudizio proprio e altrui. La paura di guardarsi, di essere guardati e non piacere diviene per molti l’incubo con cui vivere. I media, e dunque i giornali, la TV, il cinema, propongono modelli estetici che aggravano lo stress: donne bellissime, vestite, acconciate e truccate alla perfezione, ma soprattutto senza un minimo difetto, ci guardano con aria di sfida, impietosamente ricordandoci che siamo solo persone comuni, mediocre, banali, sciatte. La distanza fra tali modelli e noi appare incolmabile e quindi alimenta la tensione a conseguire tali risultati estetici con conseguente frustrazione per l’inefficacia dei nostri sforzi. La perfezione, però, in natura non esiste e mai esisterà. Si dice: “dove si ferma la natura arriva Photoshop (software di ritocco fotografico)”. Ancor prima dell’avvento del digitale in fotografia, abili artigiani della pellicola e della camera oscura facevano miracoli creando il mito delle “pin up”, cioè delle ragazze in abbigliamento e pose provocanti, le cui foto gli uomini “appendevano” alle pareti. Si chiamassero Marylin, Bettie, Jessica, Rita, Jane, Sofia, Gina, Virna… Erano tutte bellissime, da sognare ed imitare, nell’abbigliamento, nel trucco, nelle pose. Anche oggi, non meno sensibili come siamo al richiamo del fascino, del glamour, si continua a produrre fotografie “bugiarde”, in cui la semplice bellezza umana viene resa divina. Nel libero mercato dell’attrazione, anche e non solo con finalità sessuali, è necessario rispondere a quei dettami estetici. La scoperta della propria immagine e l’esigenza di renderla attraente affiorano con l’adolescenza, età di fragilità e d’insicurezze, ma pure obiettivo fertile e redditivo per tutti coloro che lavorano nell’abbigliamento, nella pubblicità, nella cosmesi. I giovani si trasformano in consumatori ideali di proposte che generano e alimentano nevrosi. Ragazzi e ragazze bellissime sono sempre nelle pubblicità di bevande, vestiti, motorini e macchine, dunque anche in settori commerciali che di per sé non creano bellezza, ma della bellezza si giovano per suscitare attrazione verso un prodotto industriale altrimenti insignificante per alcuni consumatori. Così una splendida bionda sorseggia una birra, un divo del cinema gusta un caffè, un altro s’improvvisa fornaio, una rossa da sballo sublima un profumo languidamente appollaiata sulla grondaia di uno stabile. Il prodotto dell’industria viene associato al “bello”, perché deve indurre a pensare che pure i consumatori vengano resi belli o comunque appartenenti alla categoria delle persone di successo. Tanto è invalso questo metodo pubblicitario, che desta scalpore l’inversione di tendenza di qualche azienda che affida l’immagine pubblicitaria dei propria prodotti (tortellini, banca), alla faccia del suo dirigente, non certamente avvenente, ma che induce i consumatori a confidare nella persona fisica in sé e non in un’impalpabile e lontana entità economica. Pur con qualche restrizione, pure sui bambini si proietta ed estende la pulsione degli adulti. Vestiti –spesso goffamente- come le mamme e i papà, i bambini che propone la pubblicità sono sempre bellissimi e alla moda. Molte case di moda propongono gli stessi modelli per figli e genitori. Tutti griffati e belli. Una vera fatica e fonte d’insoddisfazioni, in cui il divario tra realtà ed idea crea frustrazione od effimere esaltazioni. Attorno a ciò il mercato e gli interessi economici sono enormi. Una volta la moda, la ricercatezza nel vestire e nell’apparire era appannaggio solo di un’élite perché il divario di risorse economiche fra le classi sociali e l’offerta di mercato non ne consentiva larga diffusione. Oggi, i ricchi continuano ad essere pochi, ma il mercato ha capito che deve allargarsi ed aprirsi verso altri ceti, inferiori sul piano economico, ma molto remunerativi per i fatturati che riescono ad assicurare alle imprese manifatturiere. I tentativi proposti da alcune ideologie politico-economiche di equalizzare la collettività anche nei suoi aspetti meramente estetici (si pensi all’abbigliamento proposto od imposto in alcuni stati da regimi totalitari) cozzano contro la libera espressione della individuale personalità di ciascuna persona. Sta a ciascuno di noi, vincere, contenere, assecondare, frenare, rifiutare, e sostanzialmente convivere con questo aspetto della vita, forse innato, che è la ricerca della bellezza.

Sara Hassen

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