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L'Editoriale

Quando mancano le regole

by Paolo Mandarà 30 Aprile 2018 812 4 min di lettura
 Quando mancano le regole
Marco Pantani in ospedale a Torino dopo la caduta a sette chilometri dall'arrivo della Milano-Torino, 31 ottobre 1995

Dopo lo sconquasso domenicale, tanto vale fare il punto. Senza regole non si campa.

Quanto successo durante la manifestazione del TrinacriaHalf, è la testimonianza più lampante di quello che non bisognerebbe fare per l’organizzazione di una manifestazione sportiva. Dopo aver sollevato un problema nell’articolo pubblicato ieri, è giunto alle nostre orecchie un messaggio tanto chiaro, quanto opinabile: ossia che per un evento del genere non è mai stata prevista la chiusura “totale” del percorso di gara. In attesa di capire da chi proviene questo mantra, del perché sia così accreditato e senza alcuna voglia di strumentalizzare la questione o sparare nel mucchio, invito i lettori a prendere nota di un precedente – gravissimo e assai più noto – per buttare un occhio sulla questione.

E’ il 18 ottobre 1995: durante la Milano-Torino, una classica del ciclismo organizzata dalla “Gazzetta dello Sport”, una jeep invade il percorso di gara nel senso di marcia opposto. Travolge tre ciclisti: fra questi c’è anche l’indimenticato Marco Pantani (con lui Francesco Dall’Olio e Marco Secchiari), che in seguito all’incidente e alla caduta si fratturò tibia e perone, rischiando di chiudere la sua carriera anzitempo. Andate a rivedere le immagini di Marco in ospedale (le trovate in giro sul web) e poi ditemi se vale la pena di mettere a repentaglio la propria vita, su una bici, per una gara.

Il TrinacriaHalf contava 300 iscritti. Gli automobilisti incivili, così come li ha definiti l’organizzazione, saranno stati la metà di una decina. Ma la struttura del percorso – evidentemente – non ha permesso di isolarli. A questa considerazione se ne aggiunge un’altra: le critiche mosse dal sottoscritto, o il taglio dato a un articolo, non vuole per forza evidenziare la responsabilità dell’uno o dell’altro. Siamo qui per fare servizio pubblico e l’unica posizione da tutelare per davvero, al di là di amicizie o simpatie, ieri era quella dei partecipanti alla gara. Il gossip o le strumentalizzazioni con cui, in queste ore, si tenta di condire la questione non fa onore a chi questa corsa la organizza, la sostiene, la guarda. E non spingerà certamente chi l’ha disputata a tornare.

Seconda questione, il fuoristrada in spiaggia. Se Giuseppe Stamilla avesse mostrato un permesso per attraversare l’arenile – magari facendo anche scansare i bagnanti – la situazione non sarebbe esplosa. Anche qui, una questione di trasparenza più che di regole. Sarebbe bastato un foglio di carta, che anche io – ospitando la replica di Stamilla – ho chiesto di vedere. Niente, non esiste. Qui nessuna ha voglia di mettere in dubbio la buona fede dell’interessato, che in molti dovrebbero ringraziare per il servizio svolto in passato e per quello che svolgerà in futuro per la salvaguardia dei bagnanti, ma sarebbe stato più opportuno (forse) utilizzare altri strumenti per farsi largo, di domenica mattina, in una spiaggia affollata.

Anche su questa questione qualcuno ha voluto sguazzare (nella giornata di ieri la piscina era abbastanza capiente, d’altronde), interpretando questa negligenza come peccato originale e il nostro articolo – provato da foto e fonti autorevoli – come tendenzioso, addirittura per creare “inutili allarmismi e alimentando ingiustificata rabbia e volgarità”. A una considerazione così approssimativa e superficiale, e fra l’altro del tutto immotivata dato che abbiamo concesso il sacrosanto diritto di replica, controbattiamo con una precisazione: qui si fa giornalismo, che vi piaccia o no.

La caratura di un titolo, la portata di una notizia, la “notiziabilità” stessa di un fatto non è un fenomeno da “cortile” o privilegio di un rapporto. Sui commenti, spesso sguaiati e fuori luogo, pronunciati dai classici leoni da tastiera, lasciamo invece giudicare voi. E ci limitiamo a eliminarne qualcuno – leggasi offese personali ripetute – che mai in nessun luogo dovrebbe avere diritto di cittadinanza. Ma quando mancano (o non si rispettano) le regole è così: il dibattito precipita e nessuno vincerà mai.

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