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Un anno senza il papà di Montalbano. Ma Camilleri è anche molto altro

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Venerdì 17 luglio 2020: giorno nefasto per i superstiziosi, giorno indimenticabile per la cultura. Esattamente un anno fa veniva a mancare un uomo che ha fatto della scrittura una ragione di vita. Si chiamava, o meglio si chiama, Andrea Camilleri. È d’obbligo parlarne al presente e non al passato: perché, chi come lui ha lasciato un’eredità così vasta, non muore mai, continua a vivere in eterno attraverso il suo notevole e variegato lavoro. Tutti lo definiscono il papà di Montalbano, perché ha inventato il commissario siciliano più famoso della storia, perché ha saputo mescolare la narrazione italiana alla dialettica siciliana, esportando quest’ultima in tutto il mondo. Eppure se il successo di Camilleri è arrivato quando ha deciso di narrare, con intelligenza e la giusta dose di ironia, di un commissariato collocato nell’estremo sud della Sicilia in cui Montalbano risolve casi enigmatici e controversi fornendoci una visione d’insieme tradizionale e folcloristica dei piccoli paesi, la sua lunga carriera non è solo legata al “contastorie”, come amava definirsi. Esisteva, ancor prima, un Camilleri dalla scrittura più erudita. “Biografia del figlio cambiato” è l’esempio di uno dei suoi libri in cui la vita romanzata di Pirandello emerge nella sua proiezione più realistica.

Camilleri ne offre un’immagine quotidiana e disincantata, trasforma il vincitore del premio Nobel per la letteratura in “uno di noi”, anch’esso sottoposto ai problemi della vita. Ed è stato proprio allora che mi sono innamorata della capacità scrittorea di Camilleri, prima ancora di imparare a leggere e comprendere “La forma dell’acqua”, il primo libro sulle vicende di Montalbano, e tutti gli altri a seguire, la cui struttura è permeata di quel dialetto agrigentino non così immediato per chi legge, ma efficace se opportunamente collocato nella bocca dei personaggi giusti e nei periodi “ad effetto”. Appena ieri, 16 luglio, è uscito il suo ultimo romanzo postumo con Montalbano, “Riccardino”. Ancora una volta Camilleri saprà stupirci e lo farà in grande stile. Ha detto: “Se potessi vorrei finire la mia carriera seduto in una piazza a raccontare storie e alla fine del mio ‘cunto’, passare tra il pubblico con la coppola in mano“. I “cunti “, la gente e la Sicilia: la sintesi perfetta di un Maestro straordinario. Qui sotto il ritratto realizzato da Gianni Giacchi

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Scritto da
Antonella Galuppi

Giornalista pubblicista e scrittrice. Laureata in giurisprudenza, mediatore familiare. Si occupa di eventi culturali e spettacoli.

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