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Il Comune 2.0: quando gli umani diventano software

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Il sindaco ha avuto una brillante intuizione. Per ottimizzare la macchina comunale, ha deciso di applicare i principi dell’automazione alla sua squadra. Non ha assunto robot: ha deciso di trattare gli assessori umani come se lo fossero.
È un esperimento affascinante.
Il nostro assessore all’Ambiente non pianta più un albero: deve inserire la richiesta in un modulo Excel che si auto-archivia in una cartella condivisa. L’assessore alle Politiche sociali non ascolta più le associazioni: deve solo compilare un report basato su metriche predefinite. “Soddisfazione del cittadino” è un campo che va da 1 a 10.
Il bello è l’efficienza! Ogni mattina, gli assessori vengono accesi con una password. La loro creatività è un bug di sistema da correggere. La loro empatia è un’inutile perdita di cicli di Cpu. Un’obiezione? Un “errore di sintassi”. Una proposta originale? Un “processo non autorizzato”.
Vedete, il sindaco non vuole persone che pensano. Vuole terminali intelligenti che eseguono. Se un assessore si azzarda a uscire dal copione, a dire “Ma forse qui serve buonsenso”, parte subito un aggiornamento software forzato, alias una “riunione di allineamento” di sei ore.
Il sogno è una giunta perfetta, silenziosa come una server farm, dove l’unico rumore è il ronzio degli hard disk e il sospiro represso di un essere umano a cui è stato detto di “smaltire” una pratica.
Alla fine, il comune funzionerà alla perfezione. Sarà un orologio svizzero. Purtroppo, avremo risolto ogni problema, tranne uno: che siamo governati da un algoritmo vestito da umano, programmato per non fare domande.
Grazie a tutti. E ricordate: per qualsiasi emozione, premete INVIO.

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