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L'Editoriale

RAGUSA: VINCE LA DEMOCRAZIA, I POLITICANTI IN PENSIONE (O A LAVORARE)

di Paolo Mandarà 24 Giugno 2013 109 4 min di lettura
 RAGUSA: VINCE LA DEMOCRAZIA, I POLITICANTI IN PENSIONE (O A LAVORARE)

Il voto ragusano esprime meglio di qualunque altra tornata elettorale la sconfitta della vecchia politica e dei suoi modi di fare. Considerando il fatto che la metà dei ragusani non ha partecipato al voto, delegando a questa funzione appena il 49% degli aventi diritto, è logico considerare come per la prima volta i “progetti” di una certa classe dirigente siano crollati prima di vedere, o rivedere, la luce. Cosentini rappresentava il successore – un tantino più raffinato nella dialettica, molto meno furbo e “simpatico” negli atteggiamenti – di Nello Dipasquale, che fino a qualche mese fa (con un bottino di 9000 voti) era il primo dei deputati iblei eletti alla Regione. Sono bastati pochi mesi e tanti inciuci per cancellare l’immagine di un sindaco vincente, l’enfant prodige della politica locale, capace di fare un sol boccone dei suoi predecessori. Dei suoi vecchi predecessori. Di colpo è diventato “vecchio” anche lui.

L’incantesimo è finito: i ragusani erano davvero stanchi e lo hanno dimostrato in due modi. I più pigri e/o rassegnati non recandosi alle urne, gli altri votando Piccitto. Un giovane rappresentante del Movimento 5 Stelle, senza precedenti amministrativi, che da questo momento dovrà fare i conti con le aspettative di tutti (e ci auguriamo fermamente che non lo faccia seguendo i diktat del “padrone”, sempre meno redditizi). Ragusa si libera di una classe dirigente obsoleta, che fino alla fine dei suoi giorni ha provato a tessere la tela della cattiva politica. In barba a programmi e proclami, dopo il primo turno, tutti si sono aggrappati a Cosentini per mantenere uno status quo rischiosissimo da perdere: la poltrona. Barone da un lato – inizialmente lodevole per la scelta di andare da solo -, il PdL dall’altro – un partito totalmente avulso, privo di guida e significati (se non fosse per uno che, a livelli più alti, si è beccato 7 anni) hanno abbracciato la causa del “traditore della prima ora”. Del calderone, oltre al perdente Partito Democratico dei “pentiti”, facevano già parte i contorsionisti della politica locale, transitati da destra a sinistra in nome del territorio evocato dal solito Dipasquale. Che da par suo continua a sostenere come in questo periodo storico non esistano più gli schieramenti e la politica vada fatta dalle istituzioni e indipendentemente dal colore. Ma viceversa rischia di cadere in contraddizione, perché questo continuo cambio di casacca – agli occhi dei meno ingenui – può tanto apparire come una ricerca della miglior condizione possibile per restare al potere e cavalcare i privilegi.

Ragusa in effetti non è il primo caso in cui ci si libera, con prepotenza e con coraggio, dei vecchi schemi (il commento più diffuso, su Facebook, è che da domani i fuoriusciti dovranno cominciare a cercarsi un lavoro). Anche Santa Croce, non più tardi di un anno fa, ha affannosamente provato a svoltare. Grazie al sistema delle liste civiche e allo sconquasso di centro-destra e centro-sinistra tradizionali. Le compagini si schierarono apertamente l’una contro l’altra, perché desiderose di cambiare e proporre ricette alternative alle solite, e il sindaco fu eletto per appena tre voti. Tutto questo porta a un miglioramento della democrazia, anche se per valutare la resa del cambiamento occorre pazienza (non in eterno). In cuor nostro, e lo diciamo pubblicamente, siamo contenti che la vecchia politica sia andata in pensione: il popolo ragusano si sta svegliando, ma prima di proclamarlo eroe aspettiamo almeno di capire come andrà il nuovo corso.

Paolo Mandarà

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