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Cultura e Spettacolo

La Shoah con gli occhi di un bambino: Foà racconta le leggi razziali del ’38

by Paolo Mandarà 25 Gennaio 2017 426 3 min di lettura
 La Shoah con gli occhi di un bambino: Foà racconta le leggi razziali del ’38
Foà inaugura la mostra (ph Gianni Giacchi)
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Una mattinata per non dimenticare. Si è tenuta mercoledì in biblioteca un’interessantissima mostra-conferenza sul tema della Shoah, organizzata dall’istituto comprensivo Psaumide di Santa Croce, con il patrocinio del Comune. Erano presenti il sindaco Franca Iurato e la dirigente scolastica, prof. Giovanna Campo: assieme a loro un testimone illustre, cioè Ugo Foà, capo rabbino della comunità ebraica di Roma. Foà, colpito dalla leggi razziali nel 1938, quando aveva appena dieci anni, ha raccontato alla folta platea – popolata soprattutto da studenti – la sua drammatica esperienza: “Eravamo alla fine del mese di settembre del 1938 quando ci dissero che sarebbero entrate in vigore le leggi razziali – racconta con lucidità e commozione –. Per me era vergognoso che fra esseri umani potessero esserci delle differenze di razza. Questo provvedimento non ci avrebbe più permesso di frequentare la scuola pubblica. Mi è crollato il mondo addosso e scoppiai a piangere. Poche righe di una legge cambiavano per sempre la nostra vita”.

Il regio decreto del 5 settembre diceva che “alle scuole non potranno più essere iscritti alunni di razza ebraica”. “L’impossibilità di andare a scuola mi privò di molte certezze – spiega Foà –. Pensavo sarei rimasto ignorante a vita. Io e alcuni amici che erano nelle mie stesse condizioni trovammo però una soluzione: farci seguire privatamente da insegnanti che nel frattempo, per la stessa legge, erano stati licenziati dalle scuole perché ebrei. Non era come frequentare una scuola vera e propria, ma era l’unica soluzione possibile”. Dopo aver concluso la prima media, sorse il problema dell’ammissione alla seconda classe: “Mi affidai alla scuola privatista, ma quando fu il momento di svolgere l’esame d’ammissione successe qualcosa che ricorderò per sempre – aggiunge Foà –. Dopo aver firmato l’elenco delle presenze, in cui accanto al mio nome compariva una scritta in rosso che indicava il mio status di ebreo, il presidente della Commissione venne da me e mi spedì in un banco isolato, in fondo all’aula. Fu una grande umiliazione, in parte riscattata dalla carezza di un’insegnante che, avvicinandosi, mi disse: “Coraggio, tutto questo finirà”. Per me significò molto e al termine della guerra cercai quella professoressa per ringraziarla”.

Oggi Foà gira il territorio nazionale a 360° per raccontare la sua esperienza: “La guerra è tremenda, soprattutto quando si combatte nel territorio in cui si vive. Napoli fu profondamente segnata dai bombardamenti, molte famiglie finirono sconquassate. Io persi i contatti con mio padre e mio fratello. Oggi, a distanza di 80 anni, ho voglia di parlare. Vado ovunque e sono venuto anche a Santa Croce perché voglio combattere il negazionismo e il riduzionismo, cioè chi nega che queste cose siano successe per davvero o anche chi si sforza di ridurre la portata del fenomeno. Per cinquant’anni non ho trovato la forza di parlare, perché le ferite erano davvero imponenti, poi ho capito che era giusto farlo”.

Ugo Foà in biblioteca
Foà inaugura la mostra (ph Gianni Giacchi)

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