Quest’agosto, in provincia di Ragusa, la tradizionale atmosfera di festa è stata irrimediabilmente offuscata da una serie di drammi dolorosi. Le notizie – veicolate alla velocità del click, spesso senza filtro – hanno trasformato il racconto in un flusso caotico: informazioni che si rincorrono, giudizi sommari, gare all’ultimo dettaglio. Poco conta se verificati, poco conta se necessari. Le piattaforme digitali, tutt’altro che luoghi di riflessione, si sono trasformate in spazi dove il confine tra informazione e spettacolo è diventato labile. E spesso, neanche la stampa ha resistito alla tentazione della rapidità a ogni costo: la corsa ai titoli ha schiacciato la necessità di verifica, di misura, di rispetto. Risultato? Un circolo vizioso che alimenta il consumo compulsivo dei social e induce reazioni emotive collettive.
Pochi giorni fa, la comunità di Comiso è stata travolta dal dolore per la tragica scomparsa della piccola Carlotta Puccia, due anni, rimasta vittima di un incidente stradale lungo la statale Ragusa–Catania. Era domenica 10 agosto quando l’auto familiare si è scontrata frontalmente con un minivan: Carlotta è morta sul colpo, mentre i genitori sono rimasti gravemente feriti. L’intera città si è fermata: la sindaca ha proclamato il lutto cittadino e la chiesa del Sacro Cuore si è riempita di volti segnati dalle lacrime e da un dolore impossibile da misurare.
E come se non bastasse, quasi subito dopo, un’altra tragedia ha oscurato l’estate: il piccolo Raffaele Sallemi, di appena due anni, è annegato nella piscina di una villa a Caucana, frazione di Santa Croce Camerina. La comunità ha reagito con un silenzio assordante, un dolore trattenuto che ha spezzato le voci e fermato i gesti. Ma a quel silenzio si è sommata, in maniera dolorosa, la condivisione compulsiva e convulsiva di immagini e notizie sui social, spesso senza freni né rispetto. Proprio questo ha spinto la famiglia a chiedere pubblicamente silenzio e dignità: un appello disperato a fermare la macchina della curiosità e restituire al loro lutto la sacralità che merita.
In questo agosto segnato dal dolore, un’altra tragedia ha colpito la comunità ragusana. Il 22 agosto, Andrea Passalacqua, un ragazzo di 15 anni, è stato tragicamente schiacciato da un trattore nell’azienda agricola di famiglia, situata tra Ragusa e Chiaramonte Gulfi. Nonostante l’intervento tempestivo dei soccorsi, per Andrea non c’è stato nulla da fare.
In questa congiuntura, quando la notizia corre più veloce del dolore, vale la pena fermarsi e chiedersi: come vorremmo che fosse raccontata una tragedia, se fosse la nostra storia? Sarebbe forse più dolce, misurata, attenta all’umano che al sensazionale.
Perché ogni racconto, soprattutto quelli più duri, ha bisogno di misura, responsabilità, profondità. Ha bisogno di un come, non solo di un cosa. In un panorama digitale senza “Carta di Treviso” – quel codice etico che, nel giornalismo, regola i minori, il dolore, il rispetto – il discrimine resta quello che ciascuno di noi porta dentro. E in questi giorni di lutto, dovrebbe essere la compassione, non la corsa al click.
Perché la tragedia richiede silenzio, umanità, riflessione. Non spettacolo.