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L'Editoriale

L’Eco della Ragione

di Redazione 2 Marzo 2018 185 5 min di lettura
 L’Eco della Ragione

Mentre il gelido vento siberiano chiamato Buran, portava neve e gelo anche in Sicilia, e molti di noi decidevano di restare a casa al calduccio, sui social network impazzavano altri tipi di bufera: quella pre-elettorale scatenata dalle politiche nazionali del prossimo 4 marzo, quella televisiva scatenata dalle dichiarazioni di Eva Henger sul presunto uso e consumo di droga sull’ “Isola dei Famosi”, quella tutta casalinga scatenata dai post “al vetriolo” di un ex amministratore dell’attuale giunta Barone, che, forse, come purtroppo fanno, anche drammaticamente, certi ex, non si è rassegnato al suo attuale status di “ex”. Naturalmente, onde evitare di annoiarmi e deprimermi, non ho potuto fare a meno di seguire sia l’evoluzione della perturbazione siberiana, sia quelle degli altri “fenomeni tempolareschi” (attualmente ancora in atto), al fine di condividere con chi mi leggerà alcune riflessioni sull’uso e l’abuso dei social network.

Nel mio peregrinare mediatico, mi sono imbattuta in un articolo sul professore Umberto Eco, e in uno di Indro Montanelli. Il primo riporta in sintesi la lectio magistralis che Eco tenne all’università di Torino, la stessa in cui molti anni prima si era laureato in filosofia, dopo essere stato insignito della laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media”; il secondo, scritto proprio dal giornalista più autorevole, graffiante e cinico del dopoguerra, riporta la definizione al contrario del concetto di Informazione. Secondo Eco il web “promuove lo scemo del villaggio a detentore della verità” perché Internet è strutturato in modo da favorire e incoraggiare la diffusione di notizie false e tendenziose (c.d bufale o fake news”). Lo studioso è spietato quando dice: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”.

Ma già anni prima nel suo articolo Indro Montanelli scriveva, ancora più drasticamente: “Informazione non è conoscenza, conoscenza non è saggezza, saggezza non è verità, verità non è bellezza…”. In sintesi, quindi, secondo gli illustri autori citati, chi pubblica una notizia che non conosce o, che peggio ancora, fa credere di non conoscere, non è un saggio, depositario della verità assoluta, bensì un imbecille, o peggio, un mistificatore! Ebbene se l’imbecille, però, ha il diritto costituzionalmente garantito dall’art. 21 della nostra Costituzione, di esprimere il proprio pensiero (sia pure da imbecille!), il mistificatore, in quanto tale, pone in essere una condotta che, inducendo in errore chi legge o ascolta, è illegittima, anzi illecita. Tant’è che secondo il codice panale vigente tale condotta integra gli estremi del reato di diffamazione aggravata.

Su tale delicata questione si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, la quale nell’ultima sentenza n. 50 del 02.01.2017 ha testualmente affermato che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”. Non solo. Vi è aggravante anche quando il post offende, anche indirettamente, la carica pubblica che il destinatario del post ricopre nell’istante della pubblicazione. E comunque, per la giurisprudenza di merito (e aggiungo per orientamento pacifico e consolidato), il post si considera diffamatorio anche quando non indica esplicitamente il nome della vittima, poiché è sufficiente che essa vittima sia facilmente riconoscibile ed individuabile dalla collettività (v. Cass. pen., sez V, 02.02.2018 n. 5175).

Fatte queste doverose (seppur noiose per alcuni) precisazioni e considerazioni mi sono chiesta che valore abbia la reazione o, all’opposto, la non-reazione (quindi il silenzio) della vittima dell’imbecille o del mistificatore. Secondo il mio modesto parere il valore lo dà chi legge il post diffamatorio, nel senso che se anch’esso appartiene alla schiera degli “imbecilli” individuati e osteggiati dal prof. Eco, crederà, senza se e senza ma, al suo simile e metterà un “like”. Non solo, ma attribuirà al silenzio della vittima il significato di assenso e, conseguentemente, lo riterrà colpevole del “misfatto” pubblicato dal suo simile! Se invece, come pure Montanelli afferma, chi legge il post diffamatorio e mistificante è consapevole del fatto che l’ignoranza rende saggi e prudenti, non metterà un “like” e non griderà “è lui il colpevole!”, ma avrà la voglia, l’interesse e la pazienza di informarsi, formarsi e discernere il falso dal vero. In tal caso, darà il significato di diniego, di disconoscimento, di rigetto al silenzio della vittima e, non comportandosi da “imbecille”, avrà smascherato, con la forza della Ragione, un’ingiustizia virtuale nei mezzi ma reale nella sostanza!

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