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Attualità

Una giornata contro la violenza sulle donne: ma è davvero sufficiente?

by Antonella Galuppi 24 Novembre 2018 1522 3 min di lettura
 Una giornata contro la violenza sulle donne: ma è davvero sufficiente?

Un giorno per ricordare le donne vittime di violenza: ma è davvero sufficiente? Se dall’inizio di quest’anno sono circa 106 i femminicidi e un numero incalcolabile le donne vittime di violenza domestica, questo ci induce a pensare che un solo giorno all’anno, per scuotere le coscienze su questo terribile fenomeno, è davvero irrisorio. La violenza domestica è spesso l’anticamera del femminicidio. Sono mariti, fidanzati, compagni che sempre più spesso non tollerano di avere accanto una donna pensante, capace di provvedere a se stessa, di prendere decisioni sulla sua vita, e questo irrita, infastidisce, genera rabbia da parte di chi crede che solo per il fatto di essere nata femmina essa debba subire le decisioni di colui che si reputa “signore incondizionato” della sua vita e dei suoi pensieri.

Le violenze contro le donne accadono ogni giorno, si nascondono dietro pareti domestiche all’apparenza sicure, dietro sorrisi forzati e lividi camuffati e non colpiscono solo i ceti bassi e più degradati, anzi il fenomeno è più diffuso tra i ceti medio alti senza contare che alcune categorie di uomini, dalla cui professione ci si aspetterebbe maggiore protezione, improvvisamente perdono la testa e riversano la loro frustrazione contro la compagna di vita. E con quale movente? Il timore di essere abbandonati, di perdere il controllo su colei che si è stancata di soccombere. Denunciamo, denunciamo, denunciamo, è quanto sentiamo dire a gran voce dai social, dalla tv, dai giornali, ma è sufficiente? Sono pochissime le donne che denunciano i propri aguzzini e quando lo fanno apprendiamo con profondo rammarico che le violenze aumentano, addirittura si genera nell’uomo una reazione ancora più aggressiva, quasi incontrollabile.

Occorrerebbero misure cautelari immediate e restrittive della libertà personale ogni volta che si denuncia una violenza, si dovrebbe proteggere la vittima impedendole di essere avvicinata realmente dal suo carnefice. Non è facile tutto questo, ma il denunciato non è in grado da solo di autodeterminarsi, di rispettare i divieti che gli vengono imposti e questo impedisce a molte donne di chiedere aiuto. Anche la società non sempre è giusta nei confronti del genere femminile. Nell’immaginario collettivo la donna è sempre stata vista come il sesso debole e l’uomo ne ha approfittato in molti settori per sottometterla e denigrarla. Molte donne sono vittime di mobbing sul posto di lavoro, oppure sono sottopagate rispetto ai loro colleghi maschi e, a volte, a parità di competenze, non possono rivestire cariche prestigiose. Non è, forse, violenza anche questa? Esiste, però, un altro tipo di violenza, ancora più repellente: quella di una donna contro un’altra donna. Nella nostra epoca, così moderna ed evoluta, esistono donne capaci di prevaricare e sopraffare altre donne, solo per invidia, per senso di inferiorità, perché non hanno altro mezzo per demolire l’altra se non attraverso delle vessazioni atte a denigrare la professionalità, la dignità, ad impedirne, ad ogni costo, il libero arbitrio. “Eva contro Eva” è la più inaudita ed inaccettabile forma di violenza perché la più spietata, come solo alcune donne sanno esserlo. Allora se dobbiamo difenderci anche da “noi stesse”, cosa accadrà? Meditiamo quando parliamo di 25 novembre o di 8 marzo… si vive tutti i giorni dell’anno.

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Antonella Galuppi

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Giornalista pubblicista e scrittrice. Laureata in giurisprudenza, mediatore familiare. Si occupa di eventi culturali e spettacoli.

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