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Attualità

Negare la cultura è come vivere nell’Artico e negare il ghiaccio

by Ruben Ricca 11 Gennaio 2022 1051 5 min di lettura
 Negare la cultura è come vivere nell’Artico e negare il ghiaccio

Non capire la cultura è, in primo luogo, non riconoscerla, e il primo motivo è la mancanza di disponibilità nei suoi confronti. L’unico caso degno di rispetto, di legittimo motivo, è sapere di che cosa si parla. Non dico di conoscere in profondità, dico di sapere, minimamente, di che cosa si parla. Qualcosa di simile accade con la politica. Alcuni pensano che sia un’antichità parlare dei movimenti di sinistra senza accorgersi che gli opposti si annullano. Se uno non esiste, non può esistere l’altro. Non si può affermare che esiste il colore nero senza il colore bianco, cioè l’esistenza stessa di uno definisce l’esistenza dell’altro. Chi pensa così non si è nutrito bene da piccolo o si affatica con analisi di lungo percorso. È strano anche che coloro che affermano che non c’è più né destra né sinistra lo postulino associati a movimenti di destra (FdI, Lega, FI).

Non meno assurdo è affermare che non esistono più ideologie mentre viviamo in mezzo a un capitalismo selvaggio. È impossibile vivere senza ideologia, perché questo è il modo in cui ci relazioniamo nella società. Le persone che difendono questo si rifiutano di partecipare o lo affermano per nascondere la propria ideologia (Aristotele, Politica, libro II, “L’uomo è un animale politico e religioso”; Eco, La forma assente, “Non si può vivere nel vuoto ideologico perché quel vuoto deve essere riempito”, Lacan). È infantile sostenere che non ci sono più ideologie, perché altrimenti, Che cosa c’è? In che sistema viviamo? E qui arriviamo al punto centrale del problema. Per decenni il capitalismo ha promosso l’individualismo più radicale: “Che cosa desideri amico mio? Che cosa vuoi comprare? Insegui i tuoi sogni, compra quell’auto, pensa solo a te, pensa solo alla tua felicità” sono postulati che martellano tutto il giorno, tutti i giorni, tutti i mesi, tutti gli anni dalla culla alla morte dell’individuo. Il risultato è un soggetto consumista ed egoista (Prima gli italiani). Un individuo che non si immagina in società ma che pensa solo a se stesso. A quel tipo di soggetto sembra naturale pagare per tutto. Per parcheggiare l’auto, per usare la piscina comunale, per i servizi sociali, per usare le strutture comunali. Ma, e le tasse che vengono pagate? Non si pensa a questo (Wendy Brown, La rivoluzione segreta del neoliberismo) L’individuo di oggi non pensa né sente all’altro, il prossimo, solo se stesso, e così, anche, tutti i suoi problemi sono suoi e la società scompare.

Negare la cultura, negare la società (direbbe Faulkner) è come vivere nell’Artico e negare il ghiaccio. Non solo è inutile ma è anche stupido. I politici di oggi pretendono di essere votati e, una volta eletti, di essere pagati per quello che avevano promesso. E alcuni gridano che non ci sono più ideologie! Un politico che dice che non c’è più pensiero ideologico è una persona con encefalogramma piatto. Come scherzava Freud, “Se due persone dicono la stessa cosa posso affermare che una di loro non pensa”. Il politico di oggi si congratula per quello che è il suo dovere di governare e presenta l’ordinario come extra ordinario, o le realizzazioni di altri come propri in un chiaro esercizio di demagogia. Shakespeare, per bocca di Riccardo III, fa la stessa cosa. Anche se a quei tempi non si poteva pagare per un falso reportage sul giornale. È anche una chimera citare i postulati comunisti, quella è una stella che si è spenta molto tempo fa (come si è spento John Stuart Mill o Adam Smit). Ma allora, che cosa ci rimane? Ci rimane il prossimo, per citare San Paolo (e io non sono credente), tuttavia rimane il prossimo. Il mio vicino, i miei amici, la gente che apprezzo e anche quella che non apprezzo, ma rispetto, è ancora il mio prossimo, anche l’avversario. Eppure qui ci sono persone che negano l’altro, che vogliono renderlo invisibile, che è una delle forme del risentimento.

“Nessuno è un’isola, ogni morte mi diminuisce, non chiedere per chi suona la campana, suona per te” (per citare la bella poesia di John Donne). L’esercizio della cultura è inevitabile in una società. Meglio, la costruzione della cultura. E per questo abbiamo bisogno dell’altro, del prossimo. Ci serve l’altro per costruire cultura, non per affittare un teatro o il suolo pubblico. Non confonderti lettore, quando ti dicono che è cultura e ti danno intrattenimento. Se anche non c`è nessuna cosa di male se vuoi divertirti un po’, tutto bene. Ma la differenza è abissale. La cultura costruisce, l’intrattenimento distrae. Chi affitta un teatro non costruisce cultura, ma svolge un’operazione commerciale. È naturale se non si ha idea di come costruire cultura. Senza il prossimo rimane l’individuo egoista, l’homo económicus, l’uomo solitario, depresso, profondamente insoddisfatto perché l’unico modo per riconoscersi è nell’altro. Forse questo è ciò che rimane dei vecchi postulati di destra e di sinistra, parlare del prossimo, di tutti noi, della nostra comunità, occuparsi di tutti, o dell’uomo solitario, solitario davanti allo specchio che gli restituisce un’immagine che non riconosce. Un’immagine senza futuro. È l’uomo che immagina Eco alla fine di Apocalittici e Integrati, un uomo solo che si vede nello splendore di un’esplosione nucleare e crede di essere fotografato, o prendendo un Selfie.

Ruben Ricca è un regista e autore teatrale

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Ruben Ricca

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